I matti e l’Università

Questo argomento è il più “locale” mai presentato sul blog, fin’ora. E’ un articolo sulla situazione dell’Ateneo teramano, di cui sono un iscritto, che non aggiunge nulla al dibattito sorto in città, ma dove si esprime un preciso punto di vista. Adesso che possiamo ancora scegliere, dobbiamo salvare l’Università, prima che diventi un carrozzone insostenibile. A quel punto, ci sarebbe un’unica scelta forzata: sopprimerla

Un fantasma si aggira nei cieli sopra l’Università di Teramo: la politica. Se l’Ateneo cittadino rischia oggi seriamente di scomparire, lo si deve in larga parte a scelte a tratti incomprensibili dei nostri amministratori,locali e nazionali. Ma procediamo con ordine: la proposta di agglomerare l’Università telematica Leonardo Da Vinci – già partner della D’Annunzio – con lo stesso polo di Chieti-Pescara G. D’annunzio, è stata bocciata dalla Conferenza dei rettori delle università abruzzesi il 3 giugno scorso. Dove vuole arrivare l’università pescarese se non a presentare anche le Facoltà di Giurisprudenza ed Economia, ponendosi in concorrenza diretta con Teramo? Ma nella votazione (finita pari e patta) l’unico astenuto è stato proprio il rappresentante politico, Gianni Chiodi, il Governatore della Regione. Certo anche con il voto favorevole dell’ex sindaco, l’ultima parola sarebbe comunque spettata al Ministero dell’Istruzione. Ma il Ministero verosimilmente si orienterà considerando sia il “gran rifiuto” a pronunciarsi del Governatore, sia il comportamento del sindaco di Teramo Maurizio Brucchi, che ha tolto il sostegno economico alla Fondazione universitaria dell’UniTe e ha chiesto la restituzione dell’edificio concesso in comodato d’uso per la realizzazione della sezione di Veterinaria, presso Viale Crispi, come riportato da Stefano Alessiani in una lunga lettera aperta ai giornali. Scelta, quella del Ministero presieduto dal “tecnico” Profumo, che rischia di avere dunque un sapore prettamente politico e ben poco “tenico”.
Ma per giungere a questo punto, un motivo ci sarà stato. E da studente di Giurisprudenza dell’Università di Teramo, devo ammettere che così come si presenta nell’Ateneo la situazione non è iddiliaca. L’Università ha perso finanziamenti milionari fondamentali, negli ultimi anni, dal fondo cassa al fondo per la mobilità degli studenti. E se non è ben chiaro se il crollo nelle iscrizioni sia causa o effetto di questa perdita di fondi dell’UniTe, più semplice è capire cosa abbia causato il “declassamento” dell’interesse degli alunni. Ma cosa ha da offrire l’Università di Teramo ad un neo-maturato delle superiori? L’assoluta e strutturale mancanza di organizzazione burocratica e amministrativa l’ha resa una vera e propria cattedrale nel deserto di Colleparco. attorno all’Ateneo in diciotto anni di avvenuta indipendenza non sono sorti bar, pub, pizzerie o supermercati e nulla è stato fatto per migliorare la rete dei trasporti, con l’assurda conseguenza che ancora oggi, per esempio, i residenti di Villa Mosca devono prendere due autobus, passando per Piazza Garibaldi, per poter coprire 2000 metri di distanza dal quartiere interessato. Se andassero a piedi farebbero prima. Ed è in quest’ottica che si sviluppa il “finanziamento al rovescio”, ennesima incomprensibile scelta dell’amministrazione nazionale: chi ha già i soldi, riceve più soldi. Chi ne avrebbe bisogno per spiccare il volo, non vede il becco di un quattrino. Come nella marcia della morte fuori dai campi di concentramento nazisti, dove gli internati che, sfiniti, si accasciavano al suolo, divenendo un ostacolo per la fuga dai sovietici, venivano “finiti” con un colpo di fucile. Qualcuno  obietterà che ci si doveva pensare prima di perderli, quei finanziamenti, attuando politiche migliori. Ma questa sorta di “Darwinismo degli Atenei”, dove chi ha più forza sopravvive, comprime terribilmente la scelta degli studenti, impoverendo il panorama universitario nazionale. Nel caso in cui avvenisse l’irrompente entrata in scena di un concorrente come la D’Annunzio teatino-pescarese, si sarebbe costretti a scegliere se rimanere nella propria città o trasferirsi altrove, con conseguente relativo aumento delle spese per le famiglie, dovendo puntare tra il “resto qui e mi accontento” o il “mi lancio sul ‘meglio’ a mie spese”. Questo, sempre nell’ipotesi in cui l’UniTe continui a sopravvivere al Ministero, al Governatore, al Sindaco e soprattutto a sè stessa.
Quando nel 2009 il ben noto terremoto ha distrutto L’Aquila, nel capoluogo abruzzese sapevano di dover puntare, per una ricostruzione di immagine ancora prima che materiale, sul proprio Ateneo: tasse bassissime, trasporto gratuito per gli studenti (due condizioni tutt’oggi esistenti), una campagna pubblicitaria su internet che spiegava che “only the brave”, solo i coraggiosi si sarebbero iscritti, ma avrebbero puntato sul prestigio e la storia di una così importante città universitaria. Perché pur in una situazione di emergenza che tutt’ora persiste, gli amministratori avevano capito che se fosse scomparsa l’Università, sarebbe andato in cancrena l’intero sistema economico del paese. A Teramo siamo in leggera controtendenza. Seppellita l’Università, o mantenuta in vita con la stessa vergogna con cui si mantiene un bordello, forse non ci resterebbe che puntare sui notori “matti” che caratterizzano la nostra ridente cittadina, come attrazione turistica. Speriamo ameno che vivano a lungo.

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